Cosa vi serve sapere: Dopo aver rinunciato al trono del Wakanda ed al ruolo di Pantera Nera T’Challa è partito per gli Stati Uniti dove ha iniziato una nuova vita nei duplici panni dell’assistente sociale Thomas Chalmers e del vigilante Leopardo Nero.

Nel frattempo la sua ex fidanzata Monica Lynne ha iniziato una nuova vita come cantante in un locale di proprietà del boss del crimine di Harlem Morgan.

Okoye, ex Doria Milaje, la guardia del sovrano del Wakanda composta da sole donne è giunta a New York per tenere d’occhio T’Challa e non solo.

In Wakanda ci si prepara a scegliere la nuova Pantera Nera ma c’è chi trama nell’ombra.

 

 

 

Di Carlo Monni & Carmelo Mobilia

 

Capitolo 11

 

Vincitori e Vinti

 

 

 

Wakanda.

 

Il Principe Khanata scese nell’arena vestito del suo costume da Moschettiere Nero, sostanzialmente una versione del classico costume rituale della Pantera Nera con la maschera che lasciava scoperta la metà inferiore del volto, e guardò le sfidanti rimaste in piedi.

Entrambe donne. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe successo quando T’Challa sostenne la sua sfida anni fa? I tempi erano cambiati e bisognava cambiare con essi.

La sfida per stabilire a chi sarebbe spettato il trono di Wakanda era entrata nella fase finale e Khanata sentiva su di sé, su tutti loro, gli sguardi, ora severi, ora preoccupati, ora impassibili del Primo Ministro N’Gassi, della Regina Madre Ramonda e del Reggente S’Yan, spettatori imparziali del penultimo atto di quello spettacolo.

Fu il Reggente, ultimo figlio rimasto vivo di Azzari il Saggio, ad alzarsi in piedi e dire con voce solenne:

<Sfidanti, siete pronti per l’ultima prova?>

<Sono pronto.> disse, un po’ riluttante, Khanata.

<Sì.> quasi sussurrò M’Koni, che negli Stati Uniti era nota come Mary Wheeler.

<Sono pronta da quando sono nata.> proclamò orgogliosamente Shuri, sorella minore di T’Challa.

S’Yan rimase silenzioso per qualche istante poi con voce stentorea proclamò:

<E allora che la sfida cominci!>

Non si tornava più indietro.

 

 

Harlem, New York City.

 

Thomas Charlton, assistente sociale del Dipartimento Risorse Umane della Città di New York si fermò davanti ad uno dei casermoni che formavano uno dei più grossi complessi di case popolari di Harlem e sospirò.

Sapeva bene che secondo quanto si diceva comunemente in quei luoghi prosperavano, se tale termine poteva considerarsi appropriato alle circostanze, crimine e degrado e che un maschio afroamericano che viveva lì aveva appena il 37% di probabilità di arrivare a 65 anni, esattamente come in Angola. Sapeva anche che il compito che si era scelto era molto difficile, se non impossibile, ma non poteva e non voleva tirarsi indietro.

<Si comincia sempre con un piccolo passo.> disse fra sé e sé poi entrò nel palazzo.

 

 

Wakanda.

 

Jiru si era ormai completamente ripreso dalla sua disavventura, grazie alle cure di Joshua Itobo e di Mendinao. Ora che la sua salute non era più a rischio, non appena fu in grado di lasciare l’ospedale, si recò immediatamente all’arena a vedere lo scontro a tre che avrebbe deciso il prossimo re o la prossima regina destinati a regnare sul Wakanda.

In molti, fin dalla precedente edizione del torneo, sostenevano che se Jiru fosse stato di sangue reale, non ci sarebbe stata partita. Ma a lui non interessava sedersi sul trono, bensì servire al meglio la corona.

Ed era quello che avrebbe fatto, chiunque avesse trionfato oggi.

N’Gassi gli aveva tenuto un posto d’onore sul palco reale.

<Benvenuto Jiru.>

<Grazie maestro. E’ un vero onore per me poter sedere qui di fianco a lei.>

<Non è il solo onore che ti verrà concesso, ragazzo mio. Credimi.>

<Cosa significa?>

<Al termine dell’incontro vorrei che mi seguissi a palazzo. C’è un'altra cerimonia a cui devi partecipare.> gli rispose N’Gassi, con un sorriso paterno.

 

 

Regione dei Grandi Laghi, Africa Centrale.

 

C’erano diversi piccoli staterelli in quella vasta e rigogliosa regione: Azania, Narobia, Niganda, Njanda ed altri ancora, quasi tutti erano ex colonie britanniche e diversi di loro erano attualmente governati da spietati dittatori.

Joshua N’Dingi si riteneva migliore di loro: lui voleva il potere non per se stesso ma perché riteneva sinceramente di essere il più adatto a perseguire il bene delle genti di quella zona e poco importava che non tutti lo capissero.

Il Presidente del Niganda, M’Butu, era tra quelli che avevano risposto no alla sua offerta di unirsi alla sua Federazione Panafricana e sarebbe stato il primo a capire che l’uomo chiamato Dottor Crocodile non era tipo da accettare rifiuti alle sue proposte

Crocodile non esitò e parlando ad un microfono disse:

<Adesso.>

In un velivolo celato da tecnologia stealth, Raoul Bushman sogghignò sotto il tatuaggio a forma di teschio che aveva sul volto poi si rivolse agli uomini e donne davanti lui. Nessuno indossava una divisa ma erano vestiti in vario modo. Tra loro una donna giovane, forse poco più di vent’anni, pelle color ambra che indossava una corta tunica nera che le lasciava scoperte braccia e gambe. Nella mano destra impugnava una lancia.

<Entriamo in azione. Sapete cosa fare, mi aspetto che eseguiate i vostri compiti con rapidità ed efficienza.>

Nessuno si curò di replicare. Erano tutti professionisti e sapevano bene cosa fare e quali rischi correvano ma se avessero avuto successo avrebbero determinato la caduta di una nazione.

 

 

Wakanda.

 

Tre Pantere Nere ma solo una sarebbe rimasta in piedi alla fine del torneo, una sfida che altri occhi stavano osservando con interesse ma da lontano.

Un vincitore chiaro non era ancora emerso, pensò l’osservatore. L’uomo era in gamba, così sembrava, ma anche le due donne lo erano. Una specialmente sembrava molto determinata.

A lui poco importava chi avrebbe vinto: era stato incaricato di uccidere il vincitore chiunque lui o lei fosse ed era determinato a farlo quando fosse stato il momento.

L’incarico non lo entusiasmava ma ancor meno affrontare il suo misterioso committente in caso si fosse tirato indietro. Quell’uomo, se era davvero solo un uomo e non qualcosa di più sinistro, metteva i brividi perfino ad uno come lui

L’osservatore era ignaro di essere a sua volta osservato da un uomo che vestiva un costume simile a quello della Pantera Nera ma candido come la neve.

Fai la tua mossa, pensò il Lupo Bianco sorridendo sotto la maschera, poi sarò io a fare la mia.

 

 

Manhattan.

 

Thomas Charlton rientrò in ufficio dopo una dura giornata di lavoro. Nella grande stanza c’era un giovanotto di almeno una decina, forse anche una quindicina d’anni più giovane, anche lui di colore ma dalla pelle più chiara.

<Vedo che ha superato l’impatto con le case popolari.> commentò.

<Non mi aspettavo un simile degrado, lo confesso.> ribatté l’altro.

<E le cose sono migliorate rispetto a quando ero bambino. Ma scusi, non mi sono presentato: sono Jody Casper e lavoro qui da qualche anno ormai.>

<Il nipote di Sam Wilson, mi hanno parlato di te. Possiamo darci del tu, direi.>

<Mi sta bene. Ora che ti guardo meglio, hai un’aria familiare, non è che ci siamo già incontrati da qualche parte?>

<Non credo. Comunque qualcuno mi ha detto che somiglio a Wesley Snipes.>

<Uhm, può darsi, eppure...>     

Un lieve bussare alla porta distrasse Jody e la distrazione aumentò quando entrò una bella ragazza anche lei afroamericana che disse:

<Jody, è ora di andare. Io e Jack abbiamo fame.>

<La mamma ha ragione.> aggiunse un bambino a fianco della donna. La sua pelle più chiara rendeva evidente che non era figlio di Jody.

<Tua madre ha ragione molto spesso.> commentò Jody poi si rivolse a Charlton <Lei è Nyla ...>

<E Jody è troppo timido per dire che sono la sua ragazza.> disse lei poi indicò il bambino <Lui, invece, è mio figlio Jack.>

<Io sono Thomas Charlton e sono felice di conoscere tutti e due.>

Dopo un altro breve scambio di convenevoli, l’ufficio venne chiuso ed il gruppetto si separò. Thomas Charlton si avviò verso il suo appartamento. Vi era appena entrato che ci trovò, seduta in poltrona, una ragazza africana di notevole bellezza che indossava un cortissimo abito rosso.

<Okoye!> esclamò Charlton <Che ci fai qui?>

<È tempo di andare in cerca di preda, mio signore.> ribatte lei sorridendo <I leopardi non riposano quando calano le tenebre.>

 

 

Wakanda

 

Quando si parlava del Wakanda c’era quasi sempre una sorta di idealizzazione di quel piccolo paese dell’Africa Centrale che era riuscito a raggiungere le più alte vette del progresso tecnologico pur preservando le antiche tradizioni, ma come dice un vecchio proverbio: non sempre è oro tutto quello che luccica.

Una delle tradizioni più antiche, la cui origine era ormai oggetto di leggende talvolta contraddittorie, era quella per cui il trono di questa piccola, ma ricca e geopoliticamente importante, nazione africana non si ereditava semplicemente: chi lo avesse voluto avrebbe dovuto affrontare una serie di sfide severissime per dimostrarsene degno. Solo in tre le avevano superate tutte finora e si trovavano in quell’arena per sostenere la sfida finale. Chi l'avesse superata sarebbe stato il nuovo Re o Regina di Wakanda, posto che tornasse vivo e sano da quello che lo attendeva sul Monte Wakanda.

Tutti e tre indossavano costumi attillati ispirati al felino chiamato pantera nera. Uno era un uomo, snello ma con i muscoli messi ben in evidenza dal costume che sembrava quasi una seconda pelle. Le altre due erano donne. Una di loro portava una collana, bracciali ed una cintura dorata, sulle spalle una corta mantellina; l’altra aveva un costume più essenziale. Per la prima volta non c’era solo una donna a competere per il trono ma addirittura due: Shuri, la giovane sorellastra dell’abdicatario T’Challa, e M’Koni, una delle sue tante cugine.

Il Principe Khanata avrebbe fatto volentieri a meno di competere per il trono ed avrebbe di gran lunga preferito restare ad occuparsi a tempo pieno della sua società di produzione di automobili da competizione e Gran Turismo, per tacere della sua occasionale carriera come pilota di quelle stesse auto e della sua reputazione come playboy internazionale, ma era pur sempre un membro del Clan della Pantera e sapeva bene quali fossero suoi doveri.

Qual era Shuri? Si chiese Khanata: quella il cui costume era ornato da una collana ed una cintura fatte con denti di un leopardo o quella dal costume più disadorno? La regola voleva che i contendenti rimanessero anonimi sino alla conclusione del conflitto ma lui avrebbe scommesso di sapere la risposta.

Per un tempo che sembrò interminabile i tre avversari si studiarono nell’attesa che uno di loro facesse la prima mossa e fu quella con la collana a farla, scattando con un balzo acrobatico e sferrando un calcio a Khanata che lo evitò con una rapida capriola all’indietro.

<Bella mossa, cugina...> le dice mentre entrambi atterrano sulle punte dei piedi -<… ma, come vedi, non ha funzionato.>

<Che ne dici della mia?> ribattè l’altra sfidante piombandogli addosso dall’alto.

Le sue gambe si serrarono attorno al collo di Khanata trascinandolo a terra con sé. Che stupido, si disse lui.

Riuscì a liberarsi dalla stretta e si mise in piedi.

<Non vincerai, M’Koni.> disse a quella senza ornamenti ostentando sicurezza <Ritirati finché puoi, prima di essere umiliata.>

<Mai!> ribatté lei <Sono arrivata fin qui ed andrò fino in fondo.>

<E così io.> aggiunse l’altra donna <Solo uno di noi uscirà da quest’arena vincitore e quella non sarai tu.>

Khanata sospirò.

Che Shuri avesse una simile determinazione non lo sorprendeva, ma davvero non se l’aspettava da M’Koni che aveva vissuto per anni negli Stati Uniti e sembrava un tipo dolce e tranquillo.

Non si finisce mai di imparare.

<Va bene.> disse infine <Facciamola finita subito, allora.>

 

 

Harlem.

 

Ci sono costanti che accomunano tutte le grandi metropoli come i piccoli centri in tutto il mondo. Una di queste costanti è la prostituzione e per quanto si parlasse tanto di riqualificazione, era un fenomeno tutt’altro che scomparso dalle strade di Harlem, com’era dimostrato dalla donna di colore che stava ferma all’angolo di una strada quando un’auto si fermò di colpo davanti a lei e ne scese un uomo bianco. Dopo un breve scambio di parole con la ragazza, lui la afferrò per un polso e la trascinò verso l’auto. Lei si ribellava ma l’uomo le dette uno schiaffone, poi dall’auto scese un altro uomo, bianco anche lui, e l’afferrò per l’altro polso.

Nonostante si divincolasse, la donna stava per essere gettata dentro l’auto quando dall’alto balzò una figura inguainata in un costume nero che afferrò uno dei due uomini per la collottola strattonandolo indietro e facendogli perdere la presa sulla donna. Il secondo uomo fece per estrarre una pistola ma fu raggiunto da un potente calcio al mento che lo mandò, svenuto, sull’asfalto.

<Attento!> urlò improvvisamente la donna.

Avvertimento inutile: l’uomo in costume si era già accorto che l’altro avversario lo stava aggredendo e si era girato di scatto afferrandogli il polso e torcendoglielo. Il dolore costrinse l’uomo a mollare la presa sul coltello che impugnava.

<Maledetto!> sibilò con un accento da Europa dell’Est.

Per tutta risposta l’altro gli sferrò un pugno che lo proiettò contro il cofano della sua auto da cui poi rotolò a terra esanime.

L’uomo in costume si volse verso la donna che gli disse:

<Grazie. Me la sono vista brutta. Tu sei quel nuovo supereroe di cui parlano, vero? Com’è che ti chiami?>

<Leopardo Nero.> rispose lui <Qualcosa mi dice che questo non era un semplice diverbio con un cliente, ho ragione?>

<Sono membri di una gang di immigrati dall'Europa orientale che vuole il controllo della prostituzione nella zona e volevano che lavorassi per loro. Io sono una delle ragazze di Black Mariah ed ho rifiutato ma loro non accettano un no come risposta, l’hai visto. Ho sentito dire che rapiscono le donne e le costringono a prostituirsi per loro. Ragazze che sono fatte venire da fuori o anche americane, specie giovani. È gente brutale e violenta. Con Black Mariah tutto sommato mi trovo bene, ma se fossi finita nelle loro mani…>

<Queste ragazze che rapiscono e poi mandano sulla strada… sai dove le tengono?>

<Uhm… non so se Black Mariah gradirebbe che dessi informazioni ad un supereroe. Falcon e Cage le hanno dato solo guai.>

<Ma di certo gradirebbe che qualcuno procurasse fastidi alla concorrenza o addirittura la facesse fuori, non credi?>

La ragazza abbozzò un sorriso e replicò:

<Se la metti così… ho sentito parlare di una casa isolata nel Bronx ma non so dirti di più.>

<Me lo farò bastare.>ribatté il Leopardo Nero <Ora è meglio che tu te ne vada, non ti conviene essere qui quando questi due si risveglieranno. Immagino che tu non voglia denunciarli alla Polizia.>

<Immagini giusto. Io e gli sbirri non andiamo molto d’accordo. Me la filerò alla svelta sperando che non si ripresentino ancora domani sera.>

<Potresti cambiare zona… o cambiare vita. Sei ancora in tempo.>

La risposta fu una risatina amara.

<Sei davvero ingenuo per essere un tipo grande e grosso. Beh, ora vado, grazie ancora di tutto.>

Il Leopardo Nero la guardò andar via e solo quando fu certo che fosse abbastanza lontana spiccò un salto, si aggrappò ad un lampione e balzò ancora verso l’alto scomparendo nell’oscurità.

 

 

Wakanda.

 

Nel palco d’onore la Regina Vedova Ramonda ebbe un fremito nel vedere sua figlia trattata in quel modo. Seduta al suo fianco una donna dal fisico imponente e di poco più anziana di lei le disse:

<Non è ancora finita. Le mie allieve sono più dure di quanto appaiano... come lo ero anch’io alla loro età. Questa contesa potrebbe vedere per la prima volta una donna proclamata Regina e nuova Pantera Nera>

<Non parlare troppo presto, Zuni.> ribattè il Reggente S’Yan <Per ora Khanata è in vantaggio.>

<Per ora, cugino, per ora.> replicò la donna di nome Zuni <Ma non è ancora finita. Io dico: aspettiamo e vedremo.>

 

 

Harlem.

 

Monica Lynne cantò, con tutta la passione di cui era capace, un vecchio pezzo di Billie Holliday e quando ebbe finito decide di prendersi una pausa.

Il locale era pieno e lei non poteva non provare un moto di orgoglio perché era anche merito suo. Certo non era molto soddisfatta dell’idea di lavorare per un uomo come Morgan che era implicato in buona parte degli affari illegali di Harlem ma la sua offerta era stata troppo allettante per rifiutarla.

Monica raggiunse il bancone del bar e vi si appoggiò dicendo:

<Fammi un Jack Daniels doppio, Will, liscio.>

<Ai tuoi ordini Monica.>- replicò il barista.

<Posso offrirglielo io? In ringraziamento per una splendida performance.>

Al suono di quella voce maschile Monica si voltò, pronta ad affrontare il solito seccatore che stava tentando di abbordarla. Quello che si trovò davanti era un afroamericano tra i trenta e i quarant’anni dal fisico muscoloso e l’aria del duro anche se ora stava sorridendo. Capelli crespi con un’acconciatura vagamente afro e folti baffi, vestiva uno spezzato ed è senza cravatta. Aveva un’aria familiare ma Monica non riuscì a ricordare dove avrebbe potuto averlo visto.

<Non sono quel che crede, Miss Lynne.> continuò l’uomo <Volevo davvero solo congratularmi con lei.>

<La ringrazio per i complimenti e per il drink, Mr…?>

<Brown, Abraham Lincoln Brown, Abe per gli amici. Ho una palestra di arti marziali nel Bronx con altri due amici >

<Abe Brown? Il suo nome mi è familiare ma non ricordo che ci siamo mai incontrati.>

<Conoscevo il suo fidanzato, T’Challa, sono anche venuto alla vostra festa di fidanzamento assieme ai miei due soci Bob Diamond e Lin Sun.>

<I Figli della Tigre, ma certo! Siete abbastanza famosi da queste parti come a nord dell’Harlem River. Si dice che le gang si tengano alla larga dal vostro quartiere dopo che avete dato loro una spazzolata.>

Abe Brown si strinse nelle spalle.

<Non è stato granché in fondo. Quei tipi non sono poi così tosti con chi si sa difendere.> disse.

Una breve pausa poi aggiunse:

<Ho saputo di T’Challa, mi dispiace.>

<Grazie. Si vede che era destino che non diventassi una regina. Forse è stato meglio così. Sono migliore come cantante.>

Monica finì il suo whisky e poi si rivolse ancora al barista:

<Fammene un altro Will.>

Abe Brown la osservava in silenzio.

 

 

Wakanda.

 

Khanata scattò scegliendo come bersaglio Shuri, ma la sorella di T’Challa evitò il suo calcio e lo prese per le caviglie mentre si gettava a terra. Lui volò sopra la sua testa e piombò contro il palco della Famiglia Reale con un tonfo sordo.

Shuri attese per qualche secondo ma Khanata non si mosse.

La ragazza si volse verso la cugina e disse:

<Siamo rimasti solo noi due. Facciamola finita adesso.>

Shuri attaccò con un balzo elegante e piombo sulla cugina trascinandola a terra. M’Koni reagì facendola volare sulla sua testa. Una rapida capriola e la sorella di T’Challa atterrò sui talloni.

Le due donne si fronteggiarono in silenzio. Attendendo che l’altra facesse la prima mossa. Fu ancora Shuri a muoversi per prima sferrando un calcio rotante alla sua avversaria.

M’Koni barcollò e sotto la maschera Shuri sorrise soddisfatta.

<Sei mia.> sussurrò.

Scattò in avanti per colpire ancora M’Koni ma improvvisamente lei alzò il braccio parando il colpo ed approfittò del fatto che Shuri aveva la guardia scoperta per colpirla al collo col taglio della mano destra.

Prima che Shuri potesse reagire, un altro colpo la colse al mento poi M’Koni scattò all’indietro e le sferrò un calcio.

Shuri rimase ferma per qualche secondo poi cadde in avanti. Nessuno fiatò restando in attesa ma Shuri non si mosse.

M’Koni si volse verso il palco reale e con gesto teatrale si sfilò la maschera che le celava il volto e proclamò:

<Ho vinto! Sono la nuova Pantera Nera!>

Nessuno ebbe nulla da ribattere.

 

 

Manhattan, Police Plaza Uno, sede del NYPD.

 

Il Tenente Terenzio Oliver Rucker rientrò nel suo ufficio di comandante di una delle squadre investigative della Divisione Imprese Criminali del Dipartimento di Polizia di New York ed ebbe la sorpresa di trovare un uomo in costume appoggiato alla sua scrivania.

<Voi buffoni in costume non avete di meglio da fare che rompere le scatole a me?> esclamò.

<Io sono...>

<Il Leopardo Nero suppongo, ho letto i rapporti della 28° Squadra Investigativa. Sei il fratello povero della Pantera Nera per caso?>

Sotto la maschera l’uomo chiamato Leopardo Nero sorrise poi replicò:

<Qualcosa di simile, ma non è per parlare di me che sono qui.>

<E perché allora? Pare che tu abbia rotto un po’ di uova nel paniere di Morgan e la cosa non mi dispiace. Sei qui per lui?>

<Sono qui per riparare dei torti e magari per evitare che un’altra guerra di bande insanguini Harlem. Ho saputo che un’organizzazione che porta donne dall’Europa o le rapisce qui per costringerle a prostituirsi si sta espandendo anche verso Harlem ed il Bronx e voglio fare qualcosa.>

<Molto divertente. Di solito voi supereroi vi occupate di altri buffoni in costume, alieni multicolore o aspiranti dittatori con maschere di ferro. Benvenuto nel mondo reale, mi auguro che resterai coi piedi per terra. Siamo già al corrente di questa organizzazione ed abbiamo anche un’idea abbastanza chiara di chi ci sia dietro.>

<Lo sapete e non avete ancora fatto niente?>

<Attento a quel che dici: abbiamo agito eccome. Un paio di mesi fa abbiamo smantellato una rete di bordelli clandestini in cui venivano vendute minorenni. Abbiamo messo dentro un po’ di pesci piccoli ma dopo un paio di giorni erano fuori su cauzione e dubito che si presenteranno al processo ma anche se lo facessero e si beccassero la condanna, sarebbero ricompensati per aver tenuto la bocca chiusa. Se invece volessero parlare, indovina che accadrebbe? Così i grossi calibri continuano a sfuggirci protetti dall’omertà e da una facciata di rispettabilità. La solita vecchia storia insomma.>

<Mi dia un nome.>

Rucker riflettè per qualche istante poi disse:

<Zebra Daddy, così si fa chiamare. Attualmente fuori su cauzione come dicevo.>

<Lo troverò.>

<Immagino di sì. Ora suppongo che dovrei voltarmi per qualche secondo e poi, quando mi girerò, sarai scomparso. Non è così che fate voi cosiddetti eroi urbani?>

Qualche volta.> replicò il Leopardo Nero e saltò oltre la finestra aperta.

Rucker scrollò la testa, si avvicinò alla finestra e la richiuse.

 

 

Capitale del Niganda.

 

Il rumore degli spari, delle esplosioni e delle grida si potevano udire per chilometri.

Era chiaro che gli invasori stavano per avere la meglio.

Era un giorno storico per il Niganda.

Le fiamme divoravano la capitale.

<Presidente, non c’è più tempo. Venga!> gridò il capo della sicurezza.

M’Butu, dittatore dello stato, stava svuotando la cassaforte riempiendo una valigetta di denaro e gioielli.

Grasso e impacciato di suo, in preda al panico e all’ansia, i suoi movimenti erano ancora più sgraziati e goffi.

Chiuse malamente la 24ore premendola stretta al petto come fosse un infante e corse dietro alle guardie.

Sul tetto del palazzo reale un elicottero lo stava attendendo.

Quando si trovava a pochi metri da esso vide un coltello da lancio arrivare dalle loro spalle e trafiggere il pilota.

<COSA?> esclamò M’Butu, terrorizzato.

Alle sue spalle vide arrivare Malizia, un tempo Dora Milaje al servizio del Wakanda e ora al servizio del perfido Dottor Crocodile.

Quelli dei servizi segreti spararono in sua direzione ma la donna, agile come un felino, evitò gli spari e in men che non si dica, grazie alla sua lancia, che utilizzava come un’estensione del proprio corpo, ebbe facilmente la meglio su di essi, uccidendoli tutti.

<TI PREGO, TI PREGO RISPARMIAMI!> la implorò M’Butu, usando la valigetta come un improvvisato scudo.

<POSSO PAGARTI, POSSO RENDERTI RICCA! POSSO DARTI...>

Malizia non lo fece finire. La sua lancia trapassò la valigetta e andò ad infilzarsi nel suo petto, uccidendolo sul colpo.

Estrasse la lancia dal corpo e parlò all’auricolare:

<Qui Malizia. Bersaglio eliminato.>

<<Qui Bushman. Ottimo lavoro. Torna al punto di raccoglimento. Chiudo.>>

Il Niganda era stato conquistato. Il dottor Crocodile entrò trionfante nella capitale. Un grande senso di soddisfazione lo attraversò. Un altro passo verso i suoi piani di conquista era stato fatto con successo.

 

 

South Bronx.

 

L’afroamericano vestito in modo pacchiano scese dalla sua auto ed entrò in una palazzina di due piani nel South Bronx che aveva tutta l’aria di avere parecchie decine di anni. Era assolutamente ignaro che nell’ombra due paia d’occhi lo stavano osservando.

<Non sarebbe stato più semplice prenderlo e fargli dire tutto con un po’ di tortura?> chiese un’attraente ragazza di colore che vestiva un corto abito rosso, portava a tracolla un arco ed una faretra piena di frecce e sul viso aveva una mascherina domino.

<La tortura spesso non porta a niente Okoye.> replicò il Leopardo Nero <Invece, seguendolo senza che se ne accorgesse, Zebra Daddy ci ha portato dove volevamo. I tizi di guardia lo dimostrano chiaramente. Vogliono sembrare dei comuni sfaccendati ma si vede benissimo che sono armati.>

<Sì, è molto evidente. Agiamo?>

Il Leopardo la guardò, scrollò la testa e chiese:

<Credi davvero che quella maschera basti a non farti riconoscere?>

<Da quel che ho visto, pare che per i supereroi americani funzioni sempre.> ribattè Okoye.

L’altro scrollò ancora la testa ed aggiunse;

<Ora bisogna neutralizzare gli uomini di guardia senza che diano l’allarme.>

<Niente di più facile.>

Okoye incoccò rapidamente, una dietro l’altra, tre frecce che trafissero le gole degli uomini di guardia prima che potessero reagire od emettere un suono.

<Ecco fatto> proclamò con soddisfazione la ragazza.

Il Leopardo Nero sospirò poi si mosse verso la casa e sussurrò:

<Cerca di non ammazzare nessuno quando saremo dentro.>

 

 

Wakanda.

 

Il torneo era finito con la vincitrice più improbabile. Dal palco reale si udì un grido di gioia.

Era Billy Wheeler, il figlio a malapena adolescente di M’Koni, nato e cresciuto negli Stati Uniti ed emigrato con la madre in Wakanda dopo che lei aveva divorziato dal marito americano.

Billy non era decisamente molto rispettoso del protocollo wakandano e balzò giù dal palco correndo verso la madre per abbracciarla.

Un’emozionata M’Koni strinse a sé il figlio mentre anche S’Yan si avvicinava affiancato da Ramonda e N’Gassi.

<Sei stata in gamba M’Koni.> disse il Reggente poi si rivolse a Billy:

<Puoi essere fiero di tua madre, ragazzo.> gli disse.

<Lo sono.> replicò lui <Ora è la regina?>

<Non ancora. Deve superare l’ultima prova, domani sul Monte Wakanda.>

<Che prova?> chiese ancora Billy.

Prima che il suo prozio potesse rispondere si udì una specie di sibilo e qualcosa passò accanto alla testa di M’Koni mancandola per un pelo.

 

 

South Bronx.

 

Si avvicinarono alla casa silenziosi come fantasmi e confusi tra le ombre. Senza grossi problemi evitarono le telecamere di sicurezza e furono alla porta. Il Leopardo Nero dette un’occhiata alla serratura e gli ci vollero dieci secondi per forzarla. Mentre spingeva piano la porta disse alla sua compagna:

<Se hanno fatto le cose per bene ci saranno telecamere e sensori di movimento anche all’interno ma se siamo fortunati avranno pensato che quelle all’esterno fossero più che sufficienti, dopotutto non temono attacchi e devono tener d’occhio solo delle ragazze spaventate. In ogni caso un confronto sarà inevitabile entro breve.>

<Sono pronta.> replicò Okoye accarezzando il suo arco.

Entrarono e lui lasciò che i suoi sensi speciali lo avvertissero di eventuali pericoli poi fece cenno a lei di avanzare. Da una stanza vicina sentirono arrivare delle voci:

<Le ragazze sono state ammorbidite per bene. Ora sono pronte.>

Voce di uomo, accento dell’Europa dell’Est.

<Mi auguro che non le abbiate lasciato segni addosso.>- altro uomo, accento dei neri di Harlem <I miei clienti non amano la merce avariata.>

<Ed a me non piace che degli esseri umani siano definiti merce.>

A parlare era stato il Leopardo Nero in piedi sulla soglia della stanza dove si trovavano un uomo bianco quasi calvo e lo sguardo cattivo ed un afroamericano, lo stesso che avevano seguito fin lì: Zebra Daddy. Alle loro spalle tre uomini grandi e grossi le cui mani corsero immediatamente alle pistole.

Il Leopardo Nero saltò piombando sull’europeo e su Zebra Daddy facendoli cadere a terra. Compì una capriola e sferrò un calcio al mento di uno dei gorilla poi si rimise in piedi e colpì il secondo al collo. Si girò di scatto e bloccò il braccio del tipo calvo sferrandogli un pugno al mento che lo stese subito.

Improvvisamente udì un urlo alle sue spalle e si voltò: il terzo gorilla aveva il polso destro trafitto da una freccia che lo passava da parte a parte.

Il Leopardo Nero sferrò al tipo una gomitata al volto mentre si girava di nuovo. Sulla soglia c’era la sua giovane compagna. Lui si limitò a dire:

<Okoye…>

<Non l’ho ucciso.> si giustificò la ragazza.

Prima che l’altro potesse replicare, si udirono i rumori di gente in arrivo. Okoye si volse rapidamente verso le scale, incoccò una freccia dietro l’altra e le scagliò con infallibile precisione colpendo braccia e gambe.

Il Leopardo Nero piombò addosso ai restanti criminali i. Lo spazio ristretto impediva loro di sparare per timore di colpirsi a vicenda e l’eroe ebbe buon gioco nel farli cadere come birilli.

Si precipitò su per le scale evitando i proiettili sparati da due tizi sul pianerottolo. In pochi istanti aveva sistemato anche loro e fu in grado di aprire la porta di una delle stanze. Quel che vide gli gelò il sangue: dieci, forse dodici, donne seminude di varie etnie erano ammassate insieme e lo guardavano con un misto di paura e rassegnazione.

<Sono qui per aiutarvi.> disse, ma non era sicuro che lo capissero o gli credessero.

Okoye lo raggiunse e quel che vide le strappò un’imprecazione in wakandano. Sotto la maschera il Leopardo Nero sorrise amaro: qualcosa che la scuotesse esisteva dopotutto.

<Occupati di loro. Chiama la Polizia, il numero è 911.> le disse.

<Lo so.> rispose lei.

<Dì loro di avvertire un assistente sociale di nome Jody Casper.>

<Va bene. Volevo avvertirti che quel tizio, Zebra Daddy, è scappato.>

<Bene, era quello che speravo che facesse.>

 

 

Wakanda.

 

Il dardo passò di un soffio accanto alla testa di M’Koni, mancandola di un niente.

Nemmeno il tempo di sussultare e di chiedersi chi fosse stato che Jiru scattò immediatamente nella direzione da cui era provenuto.

Rapido come un fulmine raggiunse la cima di una collinetta, dove trovò uno scenario del tutto inaspettato: il Lupo Bianco che si stava battendo contro un enorme guerriero, dal fisico imponente e muscoloso, abbigliato con una pelle di gorilla bianco. Altri guerrieri, altrettanto massicci, arrivarono sul posto, circondando il Lupo Bianco.

Jiru non esitò ad andare in suo aiuto, tramortendo uno degli avversari che si stavano accanendo su di lui.

Il potere dovuto della pozione di Kraven scorreva forte in lui.

<Alla buon ora. Stavate facendo una escursione, lì da basso?> disse ironicamente K’Winda.

<Chi sono? Perché hanno attentato alla Regina?> chiese direttamente Jiru.

<Portano tatuaggi e insegne dei seguaci del dio Gorilla. Qualcosa mi dice che non hanno gradito la recente proclamazione.>

<Peggio per loro.>

I giorni trascorsi in ospedale erano solo un lontano ricordo, come se non fossero mai avvenuti, e Jiru mostrò a tutti la sua ritrovata potenza: nonostante i suoi avversari lo superassero in centimetri e chilogrammi, non riuscivano minimamente a impensierirlo dal punto di vista della mera forza bruta.

Sollevò uno di loro alzandolo sopra la testa come se il gigante fosse privo di peso e lo lanciò contro i suoi compagni. Nemmeno un vero gorilla maschio poteva competere con lui, in quel momento.

K’Winda d’altro canto faceva uso di tutt’altra tecnica, basata sull’agilità, la rapidità, oltre a ricorrere all’arsenale in sui possesso per sopperire alla differenza di forze e di numero che aveva rispetto ai suoi avversari.

L’insolito duo riuscì ad avere la meglio sui loro nemici. Avevano badato bene ad non ucciderli o almeno, nel caso del Lupo Bianco, a non ucciderli tutti, in modo da poterli interrogare, ma al termine del combattimento entrambi constatarono di come i loro avversari giacessero tutti a terra privi di vita.

<Che diavolo è successo? Si sono suicidati o sono stati ammazzati?> domandò K’Winda.

<Non lo so.> rispose amaramente Jiru.

 

 

Laboratori dell’ospedale, poco più tardi.

 

La nuova regina non era ancora stata incoronata che già aveva subito il primo attentato.

Doveva trattarsi di un record mondiale, pensarono alcuni.

S’Yan, N’Gassi, Mendinao, insieme agli addetti alla sicurezza, il Lupo Bianco e Jiru, si recarono al laboratorio di analisi di Joshua Itobo.

<Qual è il verdetto?> chiese il primo ministro.

<Il dardo sparato contro M’Koni era imbevuto di un rarissimo veleno ricavato da una particolare pianta, che cresce unicamente ...>

<... lungo gli altopiani a est del fiume dei Serpenti.> lo interruppe Mendinao, come se sapesse già la risposta.

<Precisamente.> rispose, un pò sorpreso, Joshua.

<Che guarda caso, confina con il territorio della tribù dei gorilla, come quei sicari in cui ci siamo imbattuti io e Jiru. Combacia perfettamente.> disse K’Winda.

<Perfino troppo.> disse S’yan <Mi sembra assai improbabile che dopo tutti questi anni la tribù di M’Baku voglia rompere una tregua che dura da tanto tempo.>

<Tutto però farebbe pensare a questo.> disse Jiru.

<Si. Parrebbe proprio così... e la cosa mi è sospetta.> riprese S’Yan.

<Forse è così> disse N’Gassi <ma l’attentato è comunque reale. Qualcuno sta complottando contro di noi, proprio adesso che siamo in cerca di una stabilità di governo. Dobbiamo assolutamente scoprire di chi si tratta.>

 

 

Manhattan, Gramercy Park.

 

L’uomo che entrò nella vecchia ma elegante casa in pietra arenaria nel centro di Manhattan avrebbe potuto avere cinquant’anni o forse più, barba e capelli erano neri e spruzzati di bianco, era alto e fisicamente ancora prestante.

Sotto il suo completo nero guizzava un fascio di muscoli, il suo sguardo era cupo e duro, il genere di sguardo che si trova in uomini che non amano che gli si portino cattive notizie.

Nel salotto c’erano tre persone: un uomo anziano con radi capelli bianchi, folti baffoni dello stesso colore e l’aria di chi avrebbe ucciso sua madre senza esitare se ne avesse ricavato un vantaggio. Al suo fianco una donna sui trent’anni, capelli biondi raccolti a coda di cavallo ed occhi di ghiaccio.

 Infine un afroamericano vestito in modo vistoso.

Il nuovo arrivato parlò con voce tranquilla ma gelida, il suo accento rivelava chiaramente un’origine esteuropea:

<Qualcuno vorrebbe spiegarmi perché ho dovuto lasciare la mia casa e la mia famiglia per venire qui a quest’ora?>

<Te lo spiegherà lui.> rispose l’uomo anziano con un accento ancora più marcato ed un’evidente più scarsa familiarità con la lingua inglese indicando il nero.

<Zebra Daddy.> disse l’uomo in nero <Non capirò mai l’abitudine di voi negri americani di usare soprannomi ridicoli per non parlare di quegli abiti che gridano: “pappone” da un chilometro.>

Sembrava che il nero stesse per dire qualcosa ma all’ultimo momento ci rinunciò.

<Allora… quanto devo aspettare per avere risposte?>

Zebra Daddy raccontò quel che era successo ripetendo più volte alcuni passaggi incomprensibili per i suoi ascoltatori a causa del suo modo di parlare e dello slang tipico dei neri di Harlem.

Alla fine l’uomo vestito di nero disse:

<E così ha detto di chiamarsi Leopardo Nero? E voi vi siete fatti malmenare come idioti. Una dozzina di duri mercenari si sono sciolti come neve al sole davanti ad un solo uomo?>

<Era un diavolo scatenato, capo.> replicò l’afroamericano <Era così veloce che sembrava che sparassimo al rallentatore ed anche la ragazza che era con lui era altrettanto tosta. In pochi minuti aveva steso tutti i ragazzi. Solo io sono riuscito a scappare>

<Ma non te, non ti sei chiesto il perché, Zebra?>

<Sono stato fortunato.>

Con uno scatto improvviso l’uomo in nero afferrò Zebra Daddy per il collo e lo sollevò da terra come se fosse senza peso dicendo:

<E non ti è venuto in mente che potrebbe averti lasciato andare apposta per poterti seguire di nascosto e farsi condurre sin qui, brutto idiota?>

<Io… io…> balbettò l’altro.

Improvvisamente una finestra s’infranse ed una figura in costume nero piombò ella stanza. L’uomo anziano e la donna estrassero ciascuno una pistola.

Il capo gettò Zebra Daddy in un angolo con assoluta noncuranza e si rivolse all’ospite indesiderato:

<Il Leopardo Nero, suppongo. Mi aspettavo una tua visita.>

Da dietro le lenti della maschera del Leopardo Nero si indovinò uno sguardo duro.

<Tu sei il capo, giusto?> disse <Immagino che tu sappia perché sono qui.>

<Direi che è ovvio.> replicò l’altro senza scomporsi <Mi vuoi avvertire che mi tieni d’occhio, rovinerai i miei affari e tutte quelle altre cose che voi cosiddetti eroi dite di solito al cattivo di turno. Non è così?>

Il Leopardo Nero tace per qualche istante poi ribattè:

<Vieni dalla Romania, giusto? Faresti meglio a tornarci assieme ai tuoi amici.>

L’anziano accarezzò il grilletto della sua pistola. Il Leopardo Nero si volse verso di lui e disse una sola parola:

<Provaci.>

Prima che il vecchio prendesse una decisione, l’uomo nero gli disse:

<Lascia perdere, Tiberiu, non voglio vederti in ospedale.>

<E chi ha detto che…> cominciò a dire l’uomo.

<Lo dico io.> lo zittì l’altro, poi si rivolse ancora al Leopardo Nero <Hai detto quel che volevi dire quindi ora puoi anche andartene.>

<Ci rivedremo.> disse l’altro poi balzò oltre la finestra.

Quando l’uomo in nero si affacciò era già scomparso.

<Potevo ucciderlo.> affermò l’uomo dai capelli bianchi.

<No che non potevi.> ribattè l’altro <Non è uno stupido contadino bosniaco lui, ma un vero duro. Ti avrebbe messo fuori combattimento prima che tu premessi il grilletto.>

<Che intendi fare adesso, Vlad?> gli chiese la bionda.

Lui sogghignò e rispose:

<Tutto quello che sarà necessario, Vera. Il Leopardo Nero ci ha dichiarato guerra. È un avversario temibile ma io non sono da meno, per questo mi chiamano Vlad l’Impalatore. Presto il Leopardo Nero sarà un uomo morto.>

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DEGLI AUTORI

 

 

            Prosegue questa riscrittura di scene già apparse su Marvel Knights integrate da nuove sequenze che vanno a comporre un nuovo arco narrativo in cui seguiremo le peripezie del Leopardo Nero nella jungla urbana e quelle della nuova Pantera Nera alle prese con guai provenienti da più fronti.

            Ma veniamo alle note vere e proprie:

1)    Abe Brown è stato creato da Gerry Conway & Dick Giordano su The Deadly Hands of Kung Fu #1 datato aprile 1974.

2)    Nakia, alias Malizia è stata creata da Christopher Priest, Joe Quesada & Mark Texeira su Black Panther Vol. 3° #1 datato novembre 1998.

3)    Terenzio Oliver Rucker è una creazione originale di Yuri Lucia ed è apparso per la prima volta su L’Uomo Ragno MIT #37 del giugno 2003.

4)    Il Niganda ed il suo Presidente N’Butu sono apparsi per la prima volta su Black Panther Vol. 4° #3 datato giugno 2005.

5)    #Cristu Bulat, è stato creato da Garth Ennis & Leandro Fernandez su Punisher Vol. 6° #25 datato novembre 2005.

6)    Tiberiu Bulat, è stato creato da Garth Ennis & Leandro Fernandez su Punisher Vol. 6° #26 datato dicembre 2005.

7)    Vera Kostantin è stata creata da Garth Ennis & Leandro Fernandez su Punisher Vol. 6° #29 datato marzo 2006.

8)    Vlad l’Impalatore è stato creato da David Liss & Francesco Francavilla su Black Panther: The Man Without Fear #513 datato febbraio 2011.

      Nel prossimo episodio, proseguono le avventure dei nostri eroi, con una rivelazione su Okoye, l’ascesa di M’Koni sul Monte Wakanda e molto altro.

 

 

Carlo & Carmelo